I Racconti dell’Archeologo

Caffè Saturno

Copertina

Come accennato nel precedente articolo, dopo avere letto tutti i libri di Peter Kolosimo ed essermi appassionato alle avventure di Martin MYstere, e dopo essermi laureato in Archeologia, ho voluto cimentarmi anch’io nel genere fanta-archeologico, inserendo però elementi storici reali e descrivendo le vere tecniche scientifiche usate dagli archeologi.

È nata così l’antologia “I Racconti dell’Archeologo”, contenente quattro racconti indipendenti l’uno dall’altro e acquistabile su Amazon in formato e-book.

Qua sotto vi regalo quattro estratti dai suddetti racconti.

Era un uomo molto anziano, seduto da solo ad un tavolino del locale, con davanti un boccale di birra. Quello che mi aveva colpito immediatamente, la prima volta che lo vidi, era l’infinita tristezza che albergava nel suo sguardo, come se la sua mente fosse altrove, come se i suoi pensieri inseguissero qualcosa che aveva perso da ormai troppo tempo. Indossava vestiti logori, un fazzoletto legato al collo e la sua testa…

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“Il Marchio del Lupo”, la mia quarta avventura “Scapigliata”.

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Milano. Febbraio 1864.

Alessandro Antonelli è il più celebre architetto dell’Italia unita, nonostante il pessimo carattere e le frequenti bizzarrie. Cletto Arrighi decide di intervistarlo per il giornale culturale che dirige, ”Cronaca Grigia”, e, insieme ai fedeli amici Scapigliati Giuseppe Rovani e Arrigo Boito, si reca in provincia di Novara, nel piccolo borgo montano di Boca, dove l’Antonelli sta costruendo un imponente santuario e dove vive, in una strana ed inquietante dimora.
Quello che gli Scapigliati non sanno è che l’architetto e soprattutto sua sorella Teresa nascondono un inquietante segreto.

Mentre la neve comincia a tingersi di rosso sangue, i tre intellettuali scopriranno di avere una singolare abilità nel cacciarsi nei guai, anche quando non li cercano.

Per acquistarlo cliccare QUI.

Gli altri ebook della serie:
1 – Vampira Tango
2 – Il Mostro della Martesana
3 – Lo Spartito del Diavolo

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Gli Scapigliati cambiano faccia!

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Le Avventure del Club degli Scapigliati, la mia miniserie di ebook horror storico-letterari in vendita su Amazon, avranno nuove splendide copertine, realizzate dalla grafica, scrittrice e illustratrice digitale Mala Spina.

Ho perciò aggiornato il primo ebook, “Vampira Tango”, con la nuova copertina e presto uscirà il quarto ebook: in contemporanea aggiornerò le copertine dei n. 2 e 3.

QUI trovate “Vampira Tango”.

QUI trovate il sito AltroEvo, gestito da Mala Spina.

Buona lettura!
Daniele Ramella

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Brendon e Morgan: un incontro “impossibile”.

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E così finalmente è accaduto! I due figli letterari di Claudio Chiaverotti si sono incontrati, o forse sarebbe meglio dire “sfiorati”.
È successo nel tredicesimo Speciale di Brendon, uscito a molta distanza dai precedenti, come esordio di una nuova serie di albi dedicati all’amatissimo “cavaliere di ventura” creato dal fumettista torinese.

È chiaramente un incontro “impossibile”, dal momento che Brendon vive in un medioevo prossimo venturo, seguito ad una catastrofe, mentre Morgan vive in un universo ucronico simile agli anni cinquanta americani, ma contaminato da architetture egizie e altre stranezze.
E così l’incontro poteva avvenire soltanto attraverso un’interferenza che compenetra per pochi istanti i due mondi e causa eventi apparentemente inspiegabili.

Brendon si trova così a dare la caccia a una coppia di serial killer dal volto di coniglio (i coniugi Rabbit già affrontati e uccisi da Morgan) e ad un chirurgo ben noto ai lettori di Morgan (il mitico Dottor Splatter), mentre Morgan cerca di catturare un feroce cavaiere onassiano proveniente dal mondo di Brendon.
Solo alla fine scopriremo perchè è avvenuta questa compenetrazione di universi e solo alla fine arriverà il magico momento in cui il cavaliere e il cacciatore di taglie incroceranno le loro strade, momento di sole immagini, senza parole,fatto di sguardi che avranno sicuramente commosso molti fans di Chiaverotti e delle sue opere.

L’intera storia avviene perciò in due linee narrative che si incrociano solo nel finale. Vi ricorda qualcosa?
Indovinato! L’indimenticabile Dylan Dog Speciale n. 3 “Orrore Nero”, in cui i due “figli” di Tiziano Sclavi, Dylan e Francesco Dellamorte, si sfioravano e forse si incontravano (ma sarà avvenuto veramente?) in uno dei momenti più onirici della vita letteraria dell’Indagatore dell’Incubo.

I disegni sono di Giovanni Freghieri ed è l’unico appunto che faccio all’albo, perchè non trovo il suo tratto molto adatto nè a Brendon nè alla storia in sè, mentre Lola Airaghi, storica disegnatrice di Brendon e autrice dello stupendo frontespizio, sarebbe stata perfetta per questo incontro ai confini dell’universo.

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Pochi giorni prima è uscito anche Morgan Lost n. 10, disegnato dall’esordiente Marco Perugini, autore anche dei video-trailer promozionali della testata e intitolato “Senza nome e senza volto”.
Anche in questo albo, Chiaverotti dimostra quanto la sua scrittura sia influenzata dal suo “maestro” Tiziano Sclavi, poichè Morgan dà la caccia ad un assassino di donne, che non ha volto ma ne ha molti, proprio come l’Uomo Invisibile, antagonista dell’indimenticabile “Memorie dall’Invisibile”.
Naturalmente, lo scrittore torinese vi infonde anche la propria sensibilità e così i serial killer sembrano anche ricordare quelli della Millennium Trilogy di Stieg Larsson, purtroppo molto attuali ai giorni nostri a causa dei frequenti “femminicidi”.

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Lo Speciale di Brendon, come già accennato, sarà solo la prima uscita di una nuova serie di albi regolari o di Speciali (ancora non si sa), che così andranno ad affiancare il “fratellino” Morgan Lost nelle edicole e nelle fumetterie.

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Nuovo Cinema Chiaverotti

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Chi conosce Claudio Chiaverotti sa bene quanto è forte il legame tra quello che scrive e il cinema di cui è famelico fruitore.
L’albo di Morgan Lost uscito a giugno, il n. 9, intitolato “Megamultiplex” è assolutamente emblematico e consente anche un parallelismo con almeno due vecchie storie di Brendon, il primo “figlio” artistico dello scrittore torinese.

L’avventura di Morgan Lost si svolge interamente in un cinema, un po’ come Demoni, di Lamberto Bava, ma senza mostri. Sullo schermo vengono proiettati sei cortometraggi, i cui protagonisti però sono anche gli unici presenti in sala: tra di loro c’è anche Morgan, che non riesce a ricordare in che modo è finito in quel cinema.
C’è Jerry Madden, l’attore che interpreta il supereroe Max Wonder e che ha un segreto da confessare al mondo; c’è Marianne, che si vede obesa e che invece è anoressica; c’è la scrittrice Claire Anderson, vittima di un fan troppo accanito, come in Misery; c’è Marvin, a cui Chiaverotti e la disegnatrice Lola Airaghi hanno dato volto, statura e parlantina di Danny De Vito, e che riesce a riscattare la sua esistenza fallimentare grazie ad una telefonata; c’è Lenorah, che fa la escort e che incontra a Natale il suo ultimo cliente. E poi c’è Morgan, a caccia di un serial killer, ma inconsapevole che sarà la sua ultima caccia.
Tutti i personaggi presenti in sala muoiono sullo schermo: è forse un presagio della loro morte? Hanno un appuntamento con il Destino? È quello che cercheranno di scoprire, se vogliono uscire da quel cinema, nel quale sembrano essere prigionieri.

Chiaverotti riesce a far sospettare, con la consueta maestria, quale possa essere la soluzione dell’enigma, per poi sorprendere il lettore con una spiegazione imprevedibile e anche poetica. I disegni precisi e intensi di Lola Airaghi fanno il resto.
Ancora una volta ci troviamo davanti un Morgan tutt’altro che supereroe, alle prese con le sue paure e i suoi traumi.

Anche in Brendon c’erano almeno due albi in cui il cinema assumeva una certa importanza: sono il n. 26 “Il ritorno della Luna Nera” e il n. 32 “Notte Horror al Drive-In”: nel primo, i feroci adepti della setta nemica giurata del cavaliere di ventura si nascondevano in una sala abbandonata; nel secondo, un drive-in abbandonato era infestato dallo spettro di un serial-killer.
Altri due casi perciò, in cui compare il legame dell’autore con il cinema, forse proprio per via delle sue origini torinesi; infatti la capitale sabauda è la prima vera culla del cinema italiano, molto prima di Roma: è qui che è stato girato Cabiria; è qui che c’è il Museo Nazionale del Cinema; è qui che Dario Argento ha girato il suo capolavoro “Profondo Rosso” (anch’esso citato da Chiaverotti in Brendon n. 33).

Perciò questo non è la prima incursione di Chiaverotti in un cinema e non sarà certo l’ultima.

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Dylan e il cinema “snuff”.

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Non mi piace un certo filone del cinema horror moderno, ovvero quello incentrato su torture atroci, occhi cavati, unghie strappate, pareti rosse di sangue, torsi umani appesi a ganci da macelleria, gente scuoiata dal vivo (Hostel, Turistas, Martyrs ecc.).
Non ho neanche alcuna intenzione di leggere The Walkin Dead o The Cannibal Family.
Perciò ho faticato a terminare questo albo di Dylan; non perchè non fosse una bella storia, ma per la tematica.

Dylan conosce Vanessa Wilson, un’attrice di film horror di cui era infatuato da ragazzo e, su suo invito, vola a Los Angeles (dopo essersi drogato di sonniferi come P.E. Baracus in A-Team) ad una rassegna di film horror, seguendo il suo quinto senso e mezzo più che l’amore.
Scopre così che i film di quella rassegna non sono finti, ma veri snuff-movies, in cui le donne vengono torturate e uccise davvero (un po’ come nel film “8 mm.” con Nicholas Cage).
L’ultimo film in gara ha come protagonista proprio Vanessa, ma Dylan si accorge di un piccolo particolare, che rimette tutto in discussione e che non spoilero.

La storia è del veterano “dylaniato” Pasquale Ruju, insolitamente “cattivo”, mentre i disegni, tenebrosi e sanguinolenti, sono di Davide Furnò e Paolo Armitano e presenta alla fine molte analogie con la storia di Fabrizio Accatino “Il Generale Inquisitore”, perchè anche in esso i nemici di Dylan erano “uomini che odiano le donne”, solo che il quell’albo giustificavano la loro follia usando la Bibbia, in questo albo invece usano il pretesto dell’arte, che non si ferma neanche davanti alla tortura e all’omicidio.

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Adam Wild e i Predatori della Città Perduta

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Paradossalmente, adesso che sta per terminare la sua vita editoriale, la serie di Adam Wild entra nel vivo e si fa addirittura “sperimentale”, dopo essere stata lanciata come il fumetto più classicamente “bonelliano” tra i nuovi.
Tutte le linee narrative tracciate da Gianfranco Manfredi stanno infatti confluendo in un unico luogo, ovvero la città perduta di Odwina, nel deserto del Kalahari, città che tutti stanno cercando: Adam e i suoi amici, ma anche Webster e Manning, i due nemici londinesi di Adam, evasi dal carcere fingendosi morti e subito partiti per l’Africa.
Insieme a Manning ci sono anche i due figli: lo psicopatico Norman e la svampita e infantile Suzanne.

Dal punto di vista della trama, i “padri ispiratori” di Manfredi sono chiaramente Salgari e Haggard, con i loro sapienti miscugli di avventura, magia e soprannaturale.
In particolare, questa decisa impennata della vicenda verso la fantascienza e il soprannaturale mi ha riportato non solo a Indiana Jones, ma soprattutto al vecchio sceneggiato televisivo “Il segreto del Sahara”, in cui il segreto del titolo si rivelava essere un’astronave aliena.
Alla virata della serie verso l’onirico, il soprannaturale e la fantascienza si abbina il cambiamento nell’impianto grafico: infatti i due albi 20 e 21 (esclusa l’introduzione del n. 20 di Matteo Bussola) sono disegnati in maniera eccelsa da Antonio Lucchi.

Adam, impulsivo come sempre, non dà ascolto agli avvertimenti di Amina, insolitamente spaventata dalla città di Odwina, e scende in una pozza di acqua luminosa all’interno di una grotta: in fondo a questa pozza incontra una medusa gigante (realmente esistente e nota come Turritopsis Dhornii) che lo proietta nel futuro.
Adam verrà così a conoscenza dei drammatici eventi che sconvolgeranno Africa ed Europa, dal colonialismo alla Seconda Guerra Mondiale.
Grazie ad un rito sciamanico, Amina e Narciso andranno a riprendere Adam ed entrambi rischieranno la follia.
Il finale sarà spettacolare!

Come già accennato, i disegni di Antonio Lucchi sono qualcosa di grandioso e psichedelico, e senza bisogno del colore che caratterizza la serie di Orfani.
Purtroppo mancano pochi numeri alla conclusione della serie, ma la speranza è che l’esperimento tentato in questi due albi prosegua più avanti.

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Morgan Lost e “Old Sparky”

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“Old Sparky” è il nomignolo che si dà negli Stati Uniti alla sedia elettrica e questo termine è molto ricorrente nelle storie di Morgan Lost, ambientate in un’America “ucronica” e “alternativa” che mischia gli anni ’50 con architetture egizie e “gothamesche”.
“Old Sparky” è anche il fulcro intorno a cui ruota questo albo n. 8, in cui Morgan si trova alle prese con un serial killer meno “fumettistico”, dato che non indossa maschere, nasi finti o orecchie da coniglio mannaro, ma che uccide le famiglie nelle loro case, per colpire il concetto stesso di “focolare domestico”.
Come nel n. 5, l’assassino viene catturato quasi subito, dopo un’incredibile inseguimento in cui Morgan resta appeso ad un dirigibile in volo su New Heliopolis, ma in realtà il bello comincia dopo. Infatti l’assassino viene processato e condannato, ma qualcuno ricomincia ad uccidere, dedicando a lui i propri omicidi: il colpo di scena finale sarà scioccante e doloroso, per Morgan come per il lettore.

Ancora una volta, Claudio Chiaverotti si dimostra un Maestro nel saper miscelare scene di azione come il già citato inseguimento mozzafiato (da pag. 34 a pag. 46!!!) a un’indagine psicologica fuori dal comune, andando a toccare tematiche insolite e coraggiose.
Infatti questa è una storia contro la pena di morte, nonostante il condannato sia un assassino psicopatico, ma anche una storia d’amore malata e senza futuro, che nell’ultima pagina riesce addirittura a strappare una lacrima di commozione.

I disegni sono di Ennio Bufi e sono i migliori visti finora sulla testata: la scena del dirigibile, non a caso usata per il trailer di lancio della serie, è già storia!
I rossi sono distribuiti in maniera fantastica e a pag. 76-77 gli occhiali del secondo assassino sembrano fari inquietanti nella notte.

A pag. 57, Chiaverotti si diverte anche a citare Dylan Dog n. 80 “Il cervello di Killex”: durante il processo, Morgan dà la sua testimonianza con un’ironia molto simile a quella di Dylan in quello storico albo, con lo stesso risultato, ovvero farsi espellere dall’aula.

In conclusione, Morgan Lost, seppure meno immaginifico e più crudo di Brendon, si conferma come una delle migiori creazioni del fumettista torinese.

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Le vie di UT.

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Al terzo albo (su sei), si comincia lentamente a capire qualcosa di UT, l’insolito fumetto creato e disegnato da Corrado Roi e sceneggiato da Paola Barbato e del quale ho già parlato.

Ut è uno strano individuo: il cervello di un bambino rinchiuso nel corpo di un adulto. Il suo volto è nascosto da una maschera di cuoio con cerniere, non si sa se perchè sfigurato o perchè se ne vergogna. Non è in grado di formulare pensieri troppo complessi, ma ha bisogni elementari ed esegue docilmente gli ordini del suo tutore, l’entomologo Decio. È capace di violenze efferate, ma sempre per difendere chi è minacciato, ed è amorevole con il suo gatto Leopoldo e, pur con qualche asprezza, anche con la misteriosa bambina Yersinia, che non tocca cibo perchè il suo nutrimento sono le favole.

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Una favola, raccontata da Ut a Yersinia, fa appunto da filo conduttore alla vicenda e forse la verità sta proprio in essa: parla di un uomo, di nome Atem, che viveva in una società in cui non dovevano esistere copie, nè di oggetti, nè di animali, nè di esseri umani. Solo originali. Eventuali copie andavano eliminate subito ed è quello che sembra rischiare Atem nella favola.

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Un Originale c’è anche nella realtà in cui vive Ut: è un gigante senza memoria e senza coscienza di sè, di nome Iranon, uscito da un sepolcro in cui dormiva. Se lui è l’unico Originale, chi o cosa sono Ut, Decio, Yersinia e tutti gli altri bizzarri e inquietanti personaggi che popolano il paese sul lago (che si scopre essere Laveno, in provincia di Varese)? Forse cloni malriusciti? Si sa che vivono molto più a lungo degli esseri umani “nati da donna”, che alcuni sono cannibali mentre altri non hanno neanche necessità di nutrirsi (Ut stesso sostiene di mangiare una volta al mese) e che sono stati creati da ingegneri genetici, come Hog (con le sembianze del defunto Umberto Eco), che Iranon sta cercando, o come Labieno, che crea lapidi funerarie viventi dal volto di neonato o abominevoli installazioni composte da corpi umani vivi e collegati tra loro da tubi.
Nelle storie si accenna anche a misteriose “case viventi”, che non si capisce se sono edifici o persone e che alcuni vogliono riportare alla luce, mentre altri distruggere.

I dialoghi sono ermetici ed essenziali: i protagonisti dicono e non dicono, svelano e nascondono.
Ut parla in modo strano e affibbia soprannomi a suo piacimento: Yersinia è “la bambina che non esiste”, Iranon è il “fossile” o il “coso”, tutto lo irrita e gli inconvenienti lo indispongono, ma gli piacciono stelle, farfalle e il suo gattino. Lui vorrebbe solo essere lasciato tranquillo, ma capita sempre qualcosa che lo costringe a sorvegliare Iranon o ad ammazzare qualcuno.
È molto infastidito dalla puzza di ammoniaca che avvolge Iranon e che potrebbe essere un indizio sulla sua vera natura.

Nel n. 3 appena uscito in edicola, intitolato “Le Vie dei Pensieri”, si scopre che Iranon non è l’unico originale: c’è anche una donna di nome IV (o è il numero 4 in latino?), simile a lui e base per la creazione di altre donne cloni, alcune appena abbozzate.

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C’è anche una setta di filosofi che condividono una sola mente e pensieri identici e che cercano di spiegare a Ut le loro teorie, beccandosi la seguente risposta, tradendo la “lombardità” di Roi e Barbato:

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Insomma… vi ho confuso ancora di più le idee, vero?
Ci tocca attendere i prossimi tre albi, sperando che i misteri vengano tutti dipanati.

 

 

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Dylan Dog tra incubo e realtà.

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Groucho: “Qual è lo scopo della vita? Diventare più umani o produrre di più?”

Mai come nel mese di maggio, i lettori “dylaniati” hanno potuto apprezzare entrambi i volti dell’Indagatore dell’Incubo: l’orrore tradizionale e l’orrore quotidiano.
In questo mese sono usciti infatti il nuovo Color Fest, intitolato “Baba Yaga”, scritto da Paola Barbato e disegnato dal grande Franco Saudelli, e il n. 356 della serie regolare, intitolato “La macchina umana”, scritto da Alessandro Bilotta e disegnato da Fabrizio De Tommaso, lo straordinario copertinista di Morgan Lost.

Nel primo albo, Dylan viene assunto dal signor Todorovic, vittima di un contratto che lo lega alla Baba Yaga, l’inquietante strega della tradizione russa.
Nel secondo, invece, si trova, senza alcun motivo apparente, a lavorare in una grande azienda facente parte della Ghost Enterprise, che schiavizza i suoi dipendenti e li sottopone ad umiliazioni quotidiane.
Se nel Color Fest la trama è basata sull’horror classico e sui tradizionali patti diabolici, nella serie regolare l’incubo è quello della quotidianità, dal momento che esistono veramente situazioni lavorative in cui gli impiegati sono torturati psicologicamente, costretti a fare straordinari non pagati, ad avere addirittura paura ad alzarsi per primi dal posto di lavoro, anche se è terminato il loro turno.
Eppure… i due albi in un certo qual modo sono collegati: cosa è infatti un contratto di lavoro, se non un patto con il Diavolo? Quando firmi un contratto particolarmente vessatorio, quando accetti di essere sfruttato, non stai forse facendo un patto con il Diavolo o con una qualche creatura maligna del folklore tradizionale?

Nel Color Fest, Dylan e il suo cliente si trovano al centro di una sfida tra due Entità equalmente spietate: la Baba Yaga e il Diavolo, che si stanno contendendo l’anima del signor Todorovic, ma si parla pur sempre di una storia grottesca e horror, alla quale i bellissimi disegni di Saudelli (celebri le sue donne seminude e i loro graziosi piedi, vera ossessione feticista del disegnatore di Latina) conferiscono splendore.
Ne “La macchina umana” invece non c’è soluzione, perchè siamo noi stessi a non avere il coraggio di ribellarci allo sfruttamento lavorativo. Bilotta, per rimarcare ulteriormente il suo messaggio, inserisce un finto finale consolatorio a metà dell’albo, completo di classica scritta “Fine dell’Episodio”, ma girando pagina, Dylan si sveglia nuovamente nel suo incubo lavorativo. Qualcuno ha visto anche, in questo finto finale, una frecciata alla precedente gestione “dylaniata”, in cui alcune storie terminavano veramente così, con finali consolatori e quasi preconfezionati, molto diversi dai finali dei primi albi di Dyd.

Quanto alla parte grafica, una menzione particolare la meritano, nel Color Fest, la copertina di Ausonia e le spettacolari tavole di Saudelli (orchestrate naturalmente da Paola Barbato in quanto sceneggiatrice): soprattutto nel finale, si raggiunge un livello di psichedelia e visionarietà assolutamente unici, confermando il ruolo sperimentale del Color Fest.
Nella serie regolare invece, De Tommaso ci sorprende con un tratto molto diverso da quello che ogni mese ci sbalordisce dalle copertine di Morgan Lost.

In Dyd 356 c’è anche una vera chicca: una citazione dal film Fantozzi, in cui Dylan arriva in ritardo al lavoro e percorre di corsa il corridoio per timbrare il cartellino, dopo avere parcheggiato sgommando il suo maggiolone. E anche Fantozzi era solo apparentemente un film comico, in realtà tragico.

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